Psicoanalisi e religione sono storicamente in una contrapposizione apparentemente insuperabile che parrebbe eludere qualunque tentativo di conciliazione. Per Freud la religione non è altro che una nevrosi dell’uomo, un disperato tentativo di sfuggire all’angoscia derivante dalla consapevolezza della propria natura di essere mortale. Trovare un punto d’incontro è impresa assai ardua: vale perciò la pena di segnalare questo nuovo libro di Massimo Recalcati, psicoanalista di formazione lacaniana, che si è confrontato con il Libro per eccellenza, la Bibbia, cercando come esplicita il titolo “La legge della parola, radici bibliche della psicoanalisi” (Einaudi, pagg. 386, euro 21), insospettabili legami tra il testo fondante della religione ebraica e la teoria psicoanalitica. Al centro di tutto c’è la “parola”: è dalla parola che origina nella Genesi la creazione: “Sia la luce”, ed è la parola il perno del lavoro psicoanalitico tra paziente e analista.
E’ la parola – sottolinea Recalcati – a creare le cose. E ancora: è la parola a separare le cose da Dio, un taglio (il primo dalla creazione) che sancisce la rinuncia da parte di Dio all’onnipotenza. Una rinuncia che assumerà un rilievo fortissimo a proposito della Shoah: la storia è fatta soltanto dagli uomini e la responsabilità è tutta loro. Non avrebbe perciò senso interrogarsi sul perché Dio non sia intervenuto a impedire lo sterminio degli ebrei per mano dei nazisti.
Se Bibbia e psicoanalisi hanno in comune il ruolo fondante della parola, ancora più forte è la condivisione della figura dell’assassinio come radice della propria storia primordiale. “Il gesto fratricida di Caino – scrive Recalcati – irrompe come una figura traumatica sulla scena della narrazione biblica sin dal suo esordio. È questa la seconda grande trasgressione dopo quella compiuta da Adamo ed Eva nell’Eden con il furto del frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male. La potenza distruttiva dell’umano emerge con forza sin dall’origine: la spinta a trasgredire la Legge non definisce tanto un comportamento o un’attitudine psicologica dell’uomo, ma una sua disposizione fondamentale”. La trasgressione di Caino riprende quella dei suoi genitori Adamo ed Eva che mangiando il frutto proibito della conoscenza cercarono il salto dall’umano al divino. “Per la Torah – scrive ancora Recalcati -l’evento primordiale che inaugura la storia universale dell’umanità non a caso è quello del fratricidio: il fratello non viene amato ma ucciso. È un’eredità drammatica che non riguarda il mondo animale, ma quello propriamente umano”. E ancora: “Situando la trasgressione e la violenza all’inizio della sua narrazione, immediatamente dopo il tempo mitico della Creazione del mondo, la Bibbia ribadisce questa verità antropologica: è solamente l’uomo a portare il crimine nella storia”.
E un assassinio come figura fondante della storia umana lo ritroviamo nella psicoanalisi: alle origini dell’umanità c’è un padre-padrone che detiene il potere sulle donne della tribù, e che viene ucciso dai figli che gli si ribellano. Il conseguente senso di colpa dà origine al tabù dell’incesto, che ritroviamo poi nella vicenda paradigmatica di Edipo.
Nella Bibbia – sottolinea Recalcati – l’uomo post-creazione è dominato dal narcisismo, espresso in misura fortissima dal fratricidio di Caino. Il senso di onnipotenza si è impadronito dell’umanità in un delirio antropocentrico che la porta a mettersi sullo stesso piano di Dio. Un delirio che costringe Dio ad abbandonare temporaneamente il proprio atteggiamento comprensivo ed amorevole per ricorrere alla punizione più severa: il diluvio universale. “La terra che Dio intende distruggere con la violenza delle acque non è dunque la terra della Creazione, ma la terra corrotta dalla furia devastatrice degli umani. Nondimeno la Legge di Dio – scrive Recalcati – non appare tanto vincolata al potere della sua parola, quanto alla sua impotenza. Se gli uomini hanno voltato le spalle alla Legge della parola, l’azione di Dio non può che generare morte. Alla distruttività degli uomini risponde un’inaudita distruttività di Dio”.
Questa sanzione durissima di Dio nei confronti del narcisismo trova un parallelismo – scrive Recalcati – nell’atteggiamento dello psicoanalista mirato a destrutturare e demolire il senso di onnipotenza del paziente. L’uomo non è più padrone in casa sua, dove la coscienza è sovrastata dalla forza dell’inconscio. L’opera di Recalcati è un costante “face to face” tra la Bibbia e la psicoanalisi, laddove il testo sacro si presenta straordinariamente ricco di spunti per quella che sarebbe stata la teoria più rivoluzionaria del ventesimo secolo.
Ci piace porre l’accento in particolare sulla riflessione che Recalcati fa a proposito del Cantico dei Cantici e della figura della donna. “In un’epoca profondamente patriarcale e maschilista – scrive Recalcati – qual era quella in cui veniva scritto, la straordinaria novità del Cantico consiste nel porre la donna come protagonista assoluta nella dialettica del desiderio. Non si tratta tanto di una centralità narrativa – i protagonisti del Cantico sono due impersonali «Lei» e «Lui» –, ma della centralità che il femminile come testimone dell’eteros assume nella vita amorosa ed erotica….Il Cantico esalta piuttosto l’eteros come condizione fondamentale dell’incontro amoroso. Non a caso la protagonista è una donna nera («Io sono abbronzata ma affascinante», Ct 1,5), la sua pelle è «scura» (Ct 1,6), a sottolineare il suo essere estranea, difforme, differente,
Nel Cantico, dunque, la donna non appare piú, come era Eva dopo la cacciata dal giardino, quale oggetto del desiderio sessuale dell’uomo – destinata, dunque, ad appartenergli passivamente in una relazione di dominio –, ma come rivelazione dell’eccedenza del desiderio, della gioia, della potenza illimitata di Eros”. E ancora: “Piú di preciso, la donna del Cantico incarna una declinazione dell’amore che sa mantenersi unita e non disgiunta da quella del desiderio sessuale. È una delle caratteristiche principali del desiderio femminile: riuscire a fare convergere e a non opporre il desiderio sessuale e l’amore. È una delle grandi tesi di Lacan – continua Recalcati – il godimento sessuale maschile resta «ingombrato» dall’avere fallico, ovvero da un godimento che pare prescindere dall’amore per fissarsi in modo esclusivo sul godimento del corpo dell’Altro ridotto a oggetto di soddisfacimento. Il suo «modo» consiste nell’esercizio di una padronanza che esclude il rapporto con l’Altro in quanto il godimento fallico è sempre godimento dell’Altro ridotto a oggetto. Nel godimento fallico, infatti, ciò che gode è sempre e solo il proprio organo.
Diversamente, il godimento femminile appare aperto alla dimensione illimitata dell’amore, alla soggettività piú singolare del partner, all’esperienza infinita di una donazione di sé che non si accontenta di godere del proprio organo, né di ridurre il corpo dell’altro a mero oggetto di soddisfacimento pulsionale, ma esige innanzitutto l’incontro tra due soggetti. Questo «Altro godimento» non può essere ridotto integralmente al godimento fallico (Lacan lo definisce opportunamente «non tutto» fallico) perché la sua soddisfazione non consiste nel godere di una parte del corpo dell’Altro – del corpo ridotto al divino dettaglio dell’oggetto piccolo – ma nell’incontrare la singolarità dell’Altro, l’infinito che esso porta con sé, ovvero la sua piú irriducibile alterità. È quello che, secondo Lacan, Bernini rappresenta nella celebre scultura dell’estasi di santa Teresa, dove il godimento della mistica si manifesta in un rapimento che scuote tutto il corpo trascendendo ogni oggettualità e spalancandosi al segreto dell’Altro”.
La lettura dell’opera di Recalcati non è delle più semplici, ma la ricchezza dei rimandi e delle suggestioni è un forte richiamo, un invito potente ad addentrarsi nella complessità del Libro sacro e dei suoi a volte ben celati legami con la psicoanalisi, legami che Recalcati via via disvela, un po’ come novello Virgilio (ci si passi l’iperbole) per il lettore che abbia voglia di affrontare questo viaggio nei misteri della Bibbia.