Il senso

Psicoanalisi e fisica dei quanti. Due mondi in apparenza estremamente lontani, quasi agli antipodi. Come far convivere le incertezze intimamente connesse allo studio della psiche, sfuggente per non dire inafferrabile, con equazioni, diagrammi che invece sono lì sulla carta, nero su bianco, a tradurre e certificare ipotesi e teorie sulle particelle elementari? Che cosa hanno da spartire la teoria dell’inconscio e l’acceleratore LHC di Ginevra?

Al di là delle differenze più o meno evidenti tra i due ambiti, c’è comunque un sottile filo rosso che li unisce: il ruolo comune all’interno della cultura del Novecento nello scardinamento di valori e certezze consolidati da una tradizione plurisecolare. La psicoanalisi mina dalle fondamenta quella costruzione apparentemente indistruttibile che è il pensiero di Cartesio. Il primato del “cogito ergo sum”, la centralità della coscienza vengono pesantemente destabilizzate dalla teoria dell’inconscio. Non siamo più quello che “crediamo” di pensare ma quello che pensiamo “a dispetto della coscienza”. L’uomo non è più l’indiscusso artefice del suo destino, ma deve fare i conti con forze oscure che dal suo interno lo condizionano e lo pilotano anche contro la sua volontà. La storia individuale non è più un percorso lineare, ma assume i tratti inquietanti di un labirinto. E’ un’altra rivoluzione copernicana: come la Terra non era più al centro dell’universo, così l’Io si trova improvvisamente se non escluso, emarginato, sicuramente non più unico attore del divenire esistenziale.

La scoperta delle particelle elementari dal canto suo apre una breccia in un altro muro portante della cultura: la fisica di Newton e Galileo e il rapporto di causa-effetto. Già la teoria della relatività di Einstein aveva demolito l’idea di un tempo assoluto, legandolo indissolubilmente alla dimensione spaziale. La fisica dei quanti va ancora oltre: il principio di indeterminazione di Heisenberg ci dice che non possiamo conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella. Se ne misuriamo una, l’altra ci sfugge: l’osservatore condiziona la realtà, addio oggettività, il mondo è quello che “vogliamo” vedere. E non solo. Gli esperimenti di Feynman mostrano fenomeni che ci sembrerebbero fantascienza: un elettrone sparato verso due fenditure le attraversa entrambe contemporaneamente. Non c’è più l’aut-aut, la rassicurante univocità di comportamenti. La Terra e l’Universo sono governati dalla probabilità che qualcosa accada, non dalla certezza.

“Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” Le tre domande sull’esistenza non hanno più una risposta univoca, rassicurante. Non siamo più quelli che credevamo di essere. Arriviamo da un viaggio di circa 14 miliardi di anni, iniziato probabilmente con un “big bang” in un vortice inimmaginabile di particelle a temperature e velocità di espansione pazzesche. Andiamo a bordo della navicella Terra verso un futuro che è prevedibile solo nella catastrofe finale che attende il nostro sistema solare, quando il Sole si spegnerà, o quando la nostra galassia colliderà con quella più vicina.

Psicoanalisi e fisica dei quanti trovano dunque insospettati punti di contatto nel segno dell’incertezza che regna sovrana, sia nel mondo interno che in quello esterno. Ma affinità si possono riscontrare non solo sul piano dei contenuti. Anche da un punto di vista metodologico, le due discipline procedono quasi in parallelo. Entrambe ricorrono a un modello le cui regole lo collegano alle osservazioni. E’ quello che il notissimo scienziato inglese Stephen Hawking definisce “realismo dipendente dal modello”. Dato per scontato che ogni immagine del reale è soggettiva, <non ha senso – dice Hawking – chiedersi se un modello sia reale, ma solo se concorda con le osservazioni>.
Certo, in psicoanalisi il riscontro fra modello e osservazioni non è dei più agevoli, e non a caso è il punto critico che a oltre cent’anni da Freud, continua ancora a far discutere. Ma neanche la fisica dei quanti scherza, se è vero che ci sono voluti 52 anni perché dalle viscere della terra, nell’LHC di Ginevra, arrivasse la conferma dell’esistenza del Bosone di Higgs, ultimo tassello della Teoria Standard sulla struttura dell’universo, ipotizzato nel lontano 1960.

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