Dai tempi di Galileo la disputa fra scienza e fede è proseguita nei secoli con toni alterni. Oggi la polemica sembra essersi alle spalle le punte più aspre, lo stesso Papa Ratzinger ha più riprese ha sottolineato la “conciliabilità” dei due estremi. Nell’agone fa ora il suo ingresso uno fra i più autorevoli scienziati contemporanei, Stephen Hawking, uno dei “padri” della scoperta dei buchi neri. Da grande divulgatore qual è, lo scienziato inglese nel suo ultimo libro “Il grande disegno” (Mondadori, pagg. 178, 20 euro) traccia a grandi linee la storia di come l’universo si è sviluppato tenendo conto degli sviluppi della meccanica quantistica.
E’ una lezione di alto livello, ma quasi sempre alla portata del lettore che viene condotto per mano attraverso i rudimenti della fisica delle particelle, pian piano fino al principio di indeterminazione di Heisenberg, alle teorie probabilistiche di Feynman. La realtà, così come la sperimentiamo tutti i giorni, ne esce fortemente scossa se non addirittura demolita.
Il principio base è che non esiste un concetto di realtà indipendente dalle descrizioni o dalle teorie: il mondo viene descritto da “un modello, unito a delle regole che connettono il modello alle osservazioni”.. L’esempio che Hawking cita è quello della visione. In apparenza, non ci dovrebbe essere nulla di più “oggettivo” di ciò che vediamo. Ma non è così: i segnali che arrivano dalla retina al cervello attraverso il nervo ottico sono di qualità mediocre a causa della scarsa risoluzione di buona parte della retina. E’ il cervello che elabora i dati e ricostruisce i dati incompleti, peraltro bidimensionali, costruendo l’impressione di uno spazio tridimensionale, in altre parole, un’immagine mentale o modello.
L’altro aspetto “forte” del modello messo a punto dalla fisica quantistica è il carattere probabilistico della struttura intima del reale. In genere oggetti di grandi dimensioni non evidenziano effetti quantistici, ma le particelle elementari ignorano bellamente la fisica di Newton e i rapporti di causa-effetto, muovendosi in un sistema di relazioni governato dall’imprevedibilità.
La soggettività del reale non risparmia neanche il tempo, ci ricorda Hawking, che grazie alla teoria della relatività ristretta di Einstein, si è dimostrato essere indissolubilmente legato all’osservazione e allo spazio. Superata l’idea di tempo come entità autonoma, per Hawking non ha più senso parlare di un “prima” della nascita dell’universo e quindi di una “creazione” da parte di un’entità superiore. Dio, in poche parole, non è necessario alla nascita dell’universo, bastano le leggi della scienza. E poiché nell’estremamente piccolo la fisica quantistica è determinante, ecco che l’universo inizia “in ogni modo possibile e la maggior parte di questi modi – ci dice Hawking – corrisponde ad altri universi”. La creazione quantistica spontanea dell’universo è analoga alla formazione delle bolle di vapore nell’acqua bollente. Molte bollicine minuscole scompaiono subito, altre diventano vere e proprie bolle di vapore che si espandono via via fino a diventare chiaramente visibili, proprio come universi in uno stato di inflazione. Non più dunque un “uni-verso”, ma un “multi-verso”, un insieme di universi, ognuno dei quali è regolato da proprie leggi. E Dio? Per Hawking non ce n’è bisogno: l’universo risponde a leggi che sono in grado di determinarne l’evoluzione e “dal momento che c’è una legge come quella di gravità – afferma Hawkings – l’universo può crearsi dal nulla e lo fa”.
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molto interessante!
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