La querelle fra neuroscienze e scienze umanistiche, psicologia in primis, sull’autonomia della coscienza rispetto al cervello non accenna ad esaurirsi. Anzi, gli innegabili passi in avanti delle prime nell’indagine sui meccanismi cerebrali non fanno che rafforzare nei ricercatori la convinzione del primato del neurologico sullo psichico. Patricia S. Churchland, settantatreenne professoressa di filosofia all’Università della California di San Diego, si è iscritta da tempo a buon diritto in questa pattuglia sempre più nutrita, di cui rappresenta l’ala più estrema.
Ci riferiamo alla corrente del materialismo eliminativo di cui la Churchland è esponente di primissimo piano da oltre trent’anni. La mente per questa scuola di pensiero non è altro che una manifestazione del cervello. Si tratta in buona sostanza di un oggetto da studiare in base alle leggi della fisica, e da eliminare appunto in quanto entità dotata di propria autonomia. Il dualismo mente-corpo viene così superato non nella direzione di una progressiva integrazione dei due aspetti ma della soppressione del primo termine.
L’ultima fatica della Churchland, “L’io come cervello” (Raffaello Cortina Editore, pagg. 307, euro 28,00) non si discosta dalla linea di pensiero appena esposta. Il processo riduttivo viene applicato in maniera implacabile a tutti gli aspetti della vita psichica in una visione, ci si passi l’iperbole, “pavloviana”, nel senso che ogni manifestazione psichica viene letta come una risposta più o meno consapevole agli stimoli esterni. Aggressività, sessualità, paura: la coscienza è ricondotta alle emozioni primarie, in un processo di “elementarizzazione” che arriva a inquietanti quanto riduttivi confronti tra l’uomo e gli altri mammiferi.
Se la coscienza è tutto questo, ovvio che non sia difficile stabilire il primato del cervello, ma la coscienza per fortuna non è solo questo. E’ consapevolezza del proprio essere e del proprio interagire con l’Altro e con il mondo, è progettualità, è desiderio. Pur riconoscendo nell’attività cerebrale la fonte primaria, è altrettanto evidente l’irriducibilità di certi processi esclusivamente alla quantità e alla qualità della mediazione dei neurotrasmettitori fra i vari neuroni.
La strada imboccata dalla Churchland porta invece in un vicolo cieco: il suo organicismo esasperato non ha né il metodo né il respiro scientifico di Antonio Damasio, autore di costruzioni ben più significative sul versante delle neuroscienze. Il suo “L’io come cervello” ci sembra in conclusione un libro francamente “perdibile”.