La psicoanalisi ha un’origine ineludibilmente mitteleuropea: la Vienna di Sigmund Freud agli inizi del Novecento è al centro dell’impero austroungarico, anche se la “finis Austriae” si avvicina a grandi passi. Apparentemente lontana anni luce dalle culture dell’Estremo Oriente: ma solo apparentemente per Cristopher Bollas, psicoanalista di origini statunitensi ma di formazione inglese che ha dedicato un interessante lavoro ai rapporti fra psicoanalisi e Cina, edito da Cortina col titolo “La mente orientale” (pag. 203, euro 14).
Per Bollas la cultura cinese ha oscillato storicamente fra due poli, l’individualismo e il senso etico della cosa pubblica, espressi rispettivamente dal Taoismo e dal Confucianesimo. Confucio – ci ricorda Bollas – non ama l’individuo che parla liberamente “minacciando la volontà collettiva di coltivare una società di massa”. La conseguenza è che l’analisi freudiana, che privilegia il soggetto parlante, può provocare ansia alla mente orientale che preferisce esprimersi in modo più indiretto e ambiguo. Più adeguata sembra essere per Bollas la teoria junghiana: “Il modo di essere cinese – scrive – (è) densamente ritualizzato in un inconscio collettivo”.
Sull’altro versante, il polo dell’individualismo è ben rappresentato da Lao Tzu, altro grande filosofo cinese, la cui poetica punta per Bollas a riconnetterci alle nostre origini in uno stile di vita segnato dall’ordine materno. In fondo – sostiene Bollas – i cinesi, privilegiando la forma rispetto al contenuto, danno priorità all’ordine materno nel quale viene sussunto l’ordine paterno.
Nel tentativo di cercare un ponte fra la cultura psicoanalitica e la Cina, Bollas ravvisa in Winnicott e nel suo discepolo Masud Khan gli analisti che più si sono avvicinati all’Estremo Oriente. Di Winnicott ricorda la sua avversione per il parlare cui preferiva sedute fitte di lunghissimi silenzi interrotte da brevi shock verbali. Tecnica sviluppata da Masud Khan che parlava ai suoi pazienti con espressioni brevi, “simili a poesie”.
Nella psicoanalisi inglese in particolare si può dunque trovare il luogo di incontro – conclude Bollas – fra dimensione privata e pubblica, e dunque fra cultura occidentale e orientale. L’inconscio parla non con le parole ma attraverso il dispiegarsi di una sequenza di idee: “E’ nella consapevolezza della voce dell’assente che la teoria di Freud trova un notevole collegamento con la visione orientale di presenza di significato nel silenzio”.