Periodicamente la psicoanalisi è sottoposta ad attacchi più o meno pesanti. Basti ricordare fra i più duri, la polemica aperta in Francia nel 2005 dall’uscita di “Le livre noir de la psychanalyse”, che ha innescato Oltralpe per diverso tempo un dibattito dai toni molto accesi. Ora è la volta del versante degli psichiatri più strettamente organicisti, che hanno contestato alla psicoanalisi la capacità di curare i bambini autistici, estendendo poi l’attacco al suo statuto scientifico, alla sua validità disciplinare.
Non si è fatta attendere la replica, sulle pagine del quotidiano La Repubblica, da parte di quattro psicoanalisti di diversa formazione, Simona Argentieri e Stefano Bolognini freudiani, Antonio Di Ciaccia lacaniano e Luigi Zoja junghiano. Un’iniziativa, ci sembra doveroso ricordarlo, promossa dalla collega di Repubblica Luciana Sica prematuramente scomparsa nel 2013. Il loro “manifesto” si è successivamente tradotto in un libro, “In difesa della psicoanalisi” edito da Einaudi (pag. 112, 10 euro).
Il libro ha un pregio su tutti, quello di offrire in sole cento pagine risposte chiare, al di là della loro condivisibilità, su quello che è uno dei temi più “caldi” del dibattito intorno alla psicoanalisi: il livello di scientificità. Ma naturalmente non manca un intervento sul tema più specifico, dal quale poi si è sviluppato il dibattito, vale a dire il rapporto della psicoanalisi con la terapia dell’autismo. Ad occuparsene è Stefano Bolognini, eletto di recente presidente dell’associazione internazionale dei freudiani: una malattia complessa come l’autismo non si può ricondurre per Bolognini esclusivamente a fattori genetici, escludendo aprioristicamente l’influenza dell’ambiente familiare. Processi psichici e base organica interagiscono in un innegabile processo di bidirezionalità. La terapia analitica dovrà essere naturalmente competenza di psicoanalisti particolarmente attrezzati, data la complessità del disturbo, la particolarità dei pazienti e il pressoché inevitabile senso di colpa dei genitori per aver tenuto nei confronti dei piccoli atteggiamenti non corretti.
A tornare sul rapporto controverso scienza-psicoanalisi è il lacaniano Di Ciaccia che, pur riconoscendo la difficoltà di ricondurre la psicoanalisi ad uno statuto scientifico, mette in guardia dalle derive scientiste di certi ambienti sostenuti dalla burocrazia pubblica. Diverso, per lui, l’atteggiamento dei neuroscienziati i quali aprono all’idea della plasmabilità dei geni da parte dell’ambiente.
Nel dibattito s’inserisce l’analista junghiano Luigi Zoja che ricorda come lo stesso Jung, e successivamente Gadamer, ritenesse le scienze della natura poco in grado di spiegare l’interiorità dell’individuo. Un analista – spiega – potrà dimostrare empiricamente che la propria terapia abbia portato dei miglioramenti in un paziente, ma avrà difficoltà a spiegarlo teoricamente. L’irripetibilità delle situazioni personali non consente misurazioni quantitative di tipo medico: manca – come faceva notare Popper – il passaggio attraverso il filtro della falsificabilità. Ma questo nulla toglie al grandissimo contributo – conclude Zoja – che la psicoanalisi ha dato alla conoscenza delle profondità dell’essere, penetrando in tutte le forme della cultura del ventesimo secolo.