QUANTI DI SPAZIO di Jim Baggott

Dopo “Origini” e “Massa” Jim Baggott torna a stupirci con “Quanti di spazio” per i tipi di Adelphi (442 pag., euro 32): conseguito un dottorato in chimica fisica tra Oxford e Stanford, Baggott si è dedicato alla divulgazione scientifica con risultati a dir poco strepitosi. Chi ha letto i suoi precedenti libri, in particolare “Origini”, non potrà fare a meno di dedicarsi a quest’ultima creatura. In quattrocento pagine Baggott ripercorre i fondamenti delle teorie sulla meccanica quantistica, a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein, fino ad arrivare alla gravità quantistica a loop, che è il cuore del suo lavoro. L’argomento è ovviamente impegnativo ai limiti della comprensibilità per un lettore  medio, curioso ma  non in possesso di un bagaglio specifico. E comunque, anche per gli addetti ai lavori la materia è tutt’altro che facile da maneggiare: lo stesso Baggott non ha difficoltà ad ammettere candidamente che per questa teoria, “come ogni teoria di questo genere, non esiste alcuna osservazione o evidenza sperimentale che la confermi”.

Al centro della riflessione gli studi che da molti anni stanno portando avanti a sostegno della teoria della gravità quantistica a loop due scienziati di fama mondiale come Lee Smolin e Carlo Rovelli. Ma tutto inizia dal tentativo di conciliare la meccanica quantistica con la teoria del campo gravitazionale, un tentativo che vede da decenni fisici di tutto il mondo impegnati a risolvere un dualismo apparentemente inconciliabile.

Baggott ripercorre tutte le tappe dell’evoluzione della fisica quantistica passando per la teoria delle stringhe, apparsa per la prima volta nel 1968 ed evolutasi poi nella teoria delle superstringhe. Secondo la teoria delle stringhe <le diverse particelle sono rappresentate da diverse configurazioni vibrazioni di un unico tipo di stringa: la massa della particella sarebbe – spiega Baggott – la sua energia vibrazionale secondo la formula m=E/c>. Dalle stringhe si è poi passati alle superstringhe, figlie della combinazione fra stringhe e supersimmetria. Problema non indifferente è il numero di dimensioni spazio-temporali richiesto per il “funzionamento” di questa teoria: partiti con Einstein e la sua relatività generale con un numero di tre dimensioni spaziali e una temporale ci ritroviamo a 9 dimensioni spaziali più una temporale, decisamente troppe.

All’inizio degli anni Novanta, alcuni fisici tra cui in posizione di preminenza Smolin e Rovelli, iniziano a lavorare alla LQG, Loop Quantum Gravity. Secondo questa teoria alla scala di Planck (la dimensione più piccola che si possa teorizzare) lo spazio è discreto, composto da singole unità, i loop, anelli intrecciati fra loro fino a costituire un tessuto simile ad una maglia d’acciaio. In una parola lo spazio è “quantizzato” in volumi discreti.

Per Baggott la differenza con la teoria delle stringhe è evidente: quest’ultima è <essenzialmente una teoria delle particelle che non elimina i problemi posti dall’ipotesi di uno spazio-tempo continuo>. <La LQG invece – spiega Baggott – è una teoria della geometria spazio-temporale che cerca di eliminare gli infiniti combinando la relatività generale e la meccanica quantistica e dimostrando che lo spazio-tempo è discreto anziché continuo>. La teoria, ci dice Baggott, ha una sua coerenza ma gli stessi autori a tutt’oggi non hanno ottenuto conferme empiriche. Lo stesso Rovelli, scrive Baggott, afferma che <manca un sostegno sperimentale diretto alla teoria>.

In conclusione libro molto interessante, che apre suggestive finestre sul mondo della fisica quantistica, di non agevole comprensione in numerosi passaggi, ma che conferma le grandi doti di divulgatore di Jim Baggott.

 

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