Chi ha letto Origini di Jim Baggott non potrà perdersi Massa (pagg. 287, euro32) l’ultima creatura dello scienziato inglese pubblicata da Adelphi. Se nel libro precedente Baggott si era soffermato dettagliatamente sulla nascita dell’universo e quindi della Terra, nel nuovo sceglie di approfondire il tema della massa, non trascurando comunque riferimenti ai fondamentali della fisica subatomica. Lo fa attraversando diacronicamente le varie teorie che si sono succedute nei secoli, a partire dal concetto di atomo di Leucippo, Democrito ed Epicuro. La massa come qualità della materia: duemila anni fa gli atomi erano considerati i componenti ultimi, i mattoni indivisibili della materia. Per secoli e secoli saranno i filosofi a scandagliare il mistero della massa, fino ad arrivare a Isaac Newton: a lui si deve il primo autentico salto di qualità, che si concretizza nella legge di gravitazione universale.
Ma, come ci fa notare Baggott, Newton mette a punto un complesso sistema teorico che spazia dalla descrizione della meccanica dei corpi terrestri fino al moto dei corpi celesti. Costruzione straordinaria che reggerà fin quasi ai giorni nostri, ma che non ci dirà nulla sulla intrinseca natura della massa: lo stesso Newton ammetterà la lacuna scrivendo nella seconda edizione dei Principia: <In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi>.
La prima svolta nell’elaborazione teorica arriva nell’Ottocento: dopo duemila anni di speculazione metafisica, gli scienziati prendono in mano il timone della ricerca con gli studi sull’elettromagnetismo di Maxwell e Lorentz. La parola “fine” arriva con Allbert Einstein e la sua teoria della relatività ristretta: l’ormai iconica formula E=mc2 dove 2 è il quadrato della velocità della luce. Massa ed energia si equivalgono: la massa di un corpo è una misura del suo contenuto energetico.
E qui il discorso si fa sempre più affascinante: la massa-energia curva lo spazio-tempo proprio come una bambina curva il tappeto elastico sul quale sta saltando. Come riassume il fisico americano Wheeler – ci dice Baggott – <lo spazio-tempo dice alla materia come muoversi, la materia dice allo spazio-tempo come curvarsi>: siamo in piena relatività generale.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla nascita dell’universo, appena 14 miliardi di anni fa: al momento del big bang tutte le forze della natura sono indistinguibili e le particelle sono in uno stato di completa simmetria. Un po’ come l’acqua in un recipiente: se abbassiamo via via la temperatura, si cominciano a formare cristalli di ghiaccio attorno alle impurità contenute nell’acqua. Così alla nascita dell’universo: i tempi sono naturalmente di una brevità fantastica. Come ci dice Baggott, oggi i fisici ritengono che un millesimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang, la temperatura dell’universo sia scesa così da consentire al campo di Higgs di rompere la simmetria consentendo alle particelle neonate di “aggrapparsi” tra loro acquisendo una terza dimensione e la massa. Naturalmente, per spiegare il campo di Higgs, ipotizzato a metà degli anni Novanta del secolo scorso, bisognava scoprire l’ormai arcinoto Bosone di Higgs.
Questa misteriosa creatura, individuata una sessantina di anni dopo la previsione della sua esistenza da parte dei fisici, si rivela determinante nel Modello Standard per conferire massa nei primi istanti dopo il Big Bang alle particelle di materia che per pochi attimi erano state equivalenti per numero a quelle di antimateria e quindi a rischio annichilamento tra loro.
La conclusione ultima è sconcertante: arrivando alle profondità estreme della fisica subatomica, ci si rende conto che la materia in quanto “cosa tangibile” non esiste più: o almeno – scrive Baggott- è una qualità secondaria, il risultato di interazioni fra campi quantistici intangibili. La massa non è altro che una manifestazione fisica dell’energia e non è un caso che Einstein, con grande preveggenza, nell’addendum al suo articolo del 1905 sulla relatività ristretta riscrivesse la sua celebre equazione: m=E/c2 e non E=mc2.
Sempre per i tipi di Adelphi, in tema di fisica quantistica, troviamo Quanti (pagg. 229, euro 14) di Terry Rudolph, professore all’Imperial College di Londra, nonché nipote di una delle figure più importanti della fisica del secolo scorso, Erwin Schroedinger. Per spiegare la complessità del mondo subatomico con le sue bizzarrie e le sue imprevedibilità, Rudolph sostituisce alle particelle elementari palline bianche e nere che escono ed entrano in scatole comparendo e sparendo, replicando i movimenti di fotoni ed elettroni. Non c’è un numero, non c’è una formula, solo disegni: eppure i concetti in ballo sono assolutamente complessi, sovrapposizione, collasso della funzione d’onda, azioni a distanza, non località. Il lettore viene coinvolto in una sorta di gioco, se vuole capire deve partecipare. Non sempre il meccanismo funziona: a volte si ha la sensazione che gli schemi e i disegni esemplificativi elaborati da Rudolph siano più complicati di una classica spiegazione teorica. Resta comunque apprezzabile il tentativo di approcciare il mondo estremamente complesso della fisica quantistica con un metodo assolutamente fuori degli schemi tradizionali.