Jung come non lo conoscevamo. Al di là delle migliaia di pagine di scritti teorici, una “summa” gigantesca in 21 volumi, lo psicoanalista zurighese, padre della psicologia analitica, per oltre venticinque anni ha tenuto un dettagliato diario dei suoi sogni, delle angosce, delle folgorazioni notturne. Diario che si è oggi tradotto in un volume edito da Bollati Boringhieri, il “Libro rosso”, (pagg. 371, euro 150) una testimonianza assolutamente unica dell’evoluzione spirituale di Jung, o per dirla con lui, del suo processo di individuazione.
I primi scritti (1913) precedono di poco l’inizio della prima Guerra mondiale e, coincidenza probabilmente non casuale, sono contemporanei all’uscita di Jung (1914) dall’Associazione psicoanalitica internazionale. Per la precisione, Jung tiene degli appunti in quelli che chiama “Libri neri”, appunti che poi trasferirà dal 1915 in forma definitiva nel “Libro rosso”. La trascrizione avviene secondo una tecnica che ricorda molto da vicino quella degli amanuensi: grandi pagine vergate in carattere gotico, capolettera a colori, immagini tratte dai sogni a tutta pagina di una bellezza mozzafiato. Il libro si presenta così come un grande volume d’arte con una metà che riproduce l’originale in tedesco e con le illustrazioni, l’altra metà con la traduzione. Il testo è puro magma ribollente: sogni, visioni, dialoghi con la propria Anima, miti, tracce di culture altre che avevano da sempre catturato l’attenzione di Jung. Immagini dantesche di gironi infernali, deliri in puro stile nietzschiano si intrecciano con riflessioni sulla natura di Dio e sulla religione. Apparizioni della Morte e scenari di morte, mari di sangue che anticipano la tragedia della Guerra che sta per abbattersi sull’Europa. E poi la follia: perché è la follia che governa la vita. Un viaggio che parte dall’esterno per proiettarsi nell’interno: dallo “zeitgeist”, lo spirito del tempo, che Jung decide di lasciarsi dietro le spalle per affrontare lo spirito del profondo. Di qui dialoghi con l’Anima ma anche con figure mitologiche. I toni sono visionari, profetici, pieni di rimandi al Vecchio e al Nuovo Testamento. La sua scrittura dà voce a forze oscure, arcane, di potenza smisurata, attingendo profondità che forse solo il delirio sa consentire. Ma è un delirio dal quale Jung riesce sempre a riemergere.
Lo psichiatra lavorerà per sedici anni al “Libro rosso”, fino all’incontro con “Il fiore d’oro”, trattato di alchimia, un tema che dal 1928 catturerà per anni la sua attenzione. Lascerà il Libro rosso con una frase in sospeso alla pagina 189. Lo riprenderà nel 1959, per scrivere, non in gotico ma in semplice corsivo, una pagina intera e poi una sola parola nella pagina seguente, ancora una volta lasciando il periodo incompiuto.