Perdere il contatto con gli altri, ma non solo: perderlo anche con sé stessi, in una parola perdere il contatto con il mondo. Sono le classiche manifestazioni di una crisi psicotica, così come ce le racconta lo psichiatra Paolo Milone nel suo libro “Una piccola fine del mondo”, (128 pagine, 13 euro).
Così ce la descrive Milone: “Non importa dove sei, con chi, al mare, in ufficio, a farti la barba, d’un tratto ti sembra che i rumori si attutiscano, la vista si offuschi, i colori si ingrigiscano, i movimenti rallentino, si inceppino. Tutto quello che vedi comincia ad allontanarsi come se tu guardassi attraverso un cannocchiale rovesciato.
Ti senti invadere da una sensazione di pena, di pesantezza, mai provata, insostenibile. Fra te e il mondo sta calando un vetro, ora ti senti dentro a un acquario, tutto è smorto, lontano, non senti piú gli altri, gli altri non sentono te.
Il mondo dove vivi tu e quello dove vivono gli altri si stanno separando, gli altri non ti vedono, non si accorgono di te, per loro non esisti piú. Ora sei in fondo a un pozzo. Sei solo”.
La sensazione complessiva è di un vuoto totale, di un buio angoscioso: non riusciamo più a comunicare con gli altri, abbiamo perso i confini del nostro io, il mondo esterno dilaga dentro di noi, ci sentiamo esposti agli altri, senza difese. E così compaiono i primi deliri, le fantasie persecutorie. Ma se siamo fortunati, un piccolo grumo di coscienza può resistere alla devastazione e consentirci attraverso questo barlume di osservarci, in una strana fusione tra osservatore e osservato. E’ poco, una consapevolezza minima ma che può consentirci di riemergere dal buio in un cui siamo sprofondati.
Ma quanto tempo servirà per tornare a rivedere la luce? Purtroppo non ci sono tempi prevedibili: giorni, settimane, mesi, anni o forse tutta la vita perché esiste anche il rischio di una cronicizzazione. “Se la mente resta fragile a lungo,- scrive Milone – può nel tempo rinforzare il delirio, perfezionarlo, trovarne nuove riprove e dimostrazioni. Cosí il delirio, da confuso che era, diventa lucido, rigido e incriticabile. Quella che era una crisi psicotica acuta, diventa una psicosi delirante cronica. Da una mente confusa siamo passati a una mente iperrazionale, con l’intelligenza che si mette al servizio del delirio… L’esperienza di una crisi psicotica è un incontro inaspettato con i propri limiti, i misteri della mente, la sua profondità, e poi la nostra singolarità, la distruttività dentro di noi, l’affetto e la cura per noi stessi, l’attaccamento alla vita, la nostra solitudine irrimediabile. Qualcuno ne rimane cosí colpito da decidere di fare lo psichiatra”.
Nel suo libro Milone ci presenta alcuni casi con i quali nella sua attività di psichiatra ospedaliero si è trovato a confrontarsi: c’è la giovane poco più che ventenne con un episodio dissociativo acuto, se la caverà con un ricovero di un mese, poi farmaci e psicoterapia per tre anni. C’è il brillante manager trentenne che vive con i genitori e che ha immolato tutta la sua vita privata sull’altare del lavoro: ne è uscito brillantemente, anche lui con un ricovero di un mese, farmaci e psicoterapia.
Che fare? Si chiede alla fine del libro Milone. Fino agli anni Cinquanta la farmacologia era molto limitata e poco efficiente, oggi gli strumenti a disposizione di uno psichiatra sono molti e sicuramente di notevole efficacia.
Ma, come conclude, “la persona per beneficiare psichicamente della benevolenza altrui deve rinunciare all’onnipotenza in cui si è arroccata per sopravvivere al mondo malevolo. Questo richiede coraggio, fatica, dolore. Perciò è cosí faticoso e doloroso guarire, e spesso impossibile. Si paga un prezzo due volte: la prima quando ci si ammala, la seconda quando si cerca di guarire”.